Stando al recentissimo rapporto pubblicato dal Network Ren21, intitolato Renewables 2011, l’Italia risulta al quarto posto tra i paesi che, nel corso dell’ultimo anno, hanno maggiormente incrementato la capacità installata per la produzione di energia da fonti rinnovabili (alle spalle di Cina, Germania e Stati Uniti). Ma risulta addirittura al secondo posto se si considera il solo settore del solare fotovoltaico (dietro alla Germania). Nel bilancio elettrico nazionale, le fonti rinnovabili rappresentano il 26% di tutta l’energia elettrica prodotta sul territorio (non considerando l’elettricità che viene importata dall’estero, poco più del 13%): vale a dire, più di un quarto di tutta l’elettricità prodotta. Se si considerano, poi, le sole province alpine, queste producono il 48% di tutta l’elettricità da fonte rinnovabile presente in Italia, considerando anche l’idroelettrico tradizionale. Senza considerare gli ampi utilizzi (molto difficili da stimare) del legno per il riscaldamento, in particolare nelle aree montane.

Dunque le fonti rinnovabili non rappresentano più una frontiera verso la quale tendere in un qualche futuro più o meno prossimo, ma una solida realtà entrata a far parte del nostro sistema energetico così come del nostro territorio (si pensi ai segni visibili, talvolta controversi, che le energie rinnovabili lasciano sul paesaggio, come nel caso dei parchi eolici o delle grandi dighe). Molte tecnologie sono considerate ormai mature e competitive con le fonti energetiche tradizionali, altre continuano a progredire e ad abbattere anno dopo anno i costi di produzione e di investimento (si pensi, ad esempio, al solare fotovoltaico, il quale mostra una significativa e progressiva riduzione nei costi per kWh prodotto). Gli incentivi pubblici (come i certificati verdi, le tariffe onnicomprensive, il conto energia, solo per citare alcuni strumenti molto conosciuti) hanno svolto un ruolo fondamentale nel sostenere la diffusione delle energie rinnovabili, nell’abbassare i costi e nel rendere gli impianti sempre più accettati socialmente.
Quali traiettorie ha seguito questo importante sviluppo nei territori di montagna? Come viene ben illustrato dai contributi presentati in questo numero, è bene mantenere una certa prudenza e non lasciarsi prendere dall’entusiasmo dei grandi numeri. Non sono pochi, infatti, gli aspetti controversi del rapporto tra energia e territorio, e rinnovabile non fa necessariamente coppia con sostenibile. Anche le rinnovabili presentano impatti ambientali significativi (ampiamente dimostrati dalla letteratura scientifica e spesso sottovalutati), tra i quali le emissioni rilasciate dal trasporto e dalla combustione delle biomasse; il consumo di suolo connesso alla produzione di biocombustibili o alla proliferazione degli impianti fotovoltaici a terra; gli impatti paesaggistici generati da aerogeneratori e dalle centrali idroelettriche, e così via.

Fatto ancora più importante, la diffusione delle rinnovabili ripropone l’annosa questione del valore aggiunto lasciato al territorio dallo sfruttamento delle risorse della montagna. Il rischio generato dagli incentivi e dal conseguente business delle rinnovabili è infatti quello di favorire progetti e iniziative slegati dal contesto in cui vengono realizzati. Iniziative proposte da grandi gruppi del settore energetico o anche da singoli privati che intendono cogliere l’occasione di investire in un settore redditizio, ma che concepiscono il territorio più come un serbatoio di risorse cui attingere che come un ecosistema complesso al quale prestare attenzione. A parte alcuni esempi virtuosi (a dire il vero, sempre più numerosi) la realtà alpina vede ancora un modello di sviluppo delle rinnovabili fortemente ancorato a simili iniziative, scarsamente in rete tra loro ma soprattutto non sostenute da un’adeguata organizzazione territoriale. Le tanto evocate “filiere” territoriali (ad esempio quella bosco-energia, che pure avrebbe grandi potenzialità in montagna) rimangono ancora a uno stadio poco più che immaginario, in particolare nelle realtà delle Alpi occidentali. Eppure gli spazi su cui lavorare ci sarebbero: sostenere le iniziative pubbliche e in particolare quei comuni che, dotati di scarse risorse e capitale umano, faticano a mettere in piedi progetti e iniziative nel settore; favorire le iniziative di coordinamento, in particolare nel settore forestale, dove la costituzione di consorzi e realtà collettive potrebbe favorire una ripresa forestale più efficiente e creare significative opportunità lavorative; investire sulle infrastrutture (sia le reti di distribuzione, sia la viabilità di montagna) che talvolta costituiscono un vincolo insormontabile alla costruzione di progetti e iniziative maggiormente territorializzate, e così via. Si tratta di interventi a monte del processo produttivo, ma importanti proprio perché legano le risorse al territorio, creando opportunità di sviluppo e di occupazione anche in settori e comparti affini a quello energetico.

Perché le rinnovabili divengano una concreta risorsa per lo sviluppo della montagna (e non solo una risorsa per la produzione di elettricità, per quanto importante) non è sufficiente, allora, che vi sia una certa disponibilità potenziale di fonti energetiche locali, ma anche un contesto tecnologico, culturale, economico, politico (in termini più sintetici, territoriale). Le rinnovabili offrono ai territori l’occasione di poter ripensare completamente il proprio modo di consumare (e produrre) energia: prendendo direttamente l’iniziativa, partendo dal basso, dai bisogni e dalle risorse (fisiche, economiche e sociali) disponibili localmente. Per le politiche che supportano e promuovono la diffusione di questo tipo di fonti, si tratta di rinnovare il modo di rapportarsi al territorio e alle sue risorse: ad esempio, nell’organizzazione dei sistemi energetici alla scala locale, avrà sempre più importanza la capacità di coinvolgimento, partecipazione e auto-organizzazione dei soggetti locali, al fine di favorire una piena e fruttuosa integrazione tra energia e territorio.
Matteo Puttilli