Per uno scherzo del destino questo contributo va in “stampa” proprio quando il Parlamento italiano si appresta a votare sulla ratifica dei Protocolli della Convenzione delle Alpi, attesa ormai da più di dieci anni. Alla Convenzione delle Alpi, strumento potenzialmente formidabile per la valorizzazione – anche economica – delle Terre Alte, in Italia sono state tarpate le ali. Prima dalle Regioni, che l’hanno guardata di traverso perché negoziata dagli Stati, temendo quindi di dover “cedere sovranità”. Poi, quando le regioni alpine (o almeno alcune) hanno compreso i vantaggi dell’appropriarsi di questo Trattato, ci si sono messi di mezzo gli autotrasportatori che, attraverso la Lega Nord, con una serie di argomentazioni faziose e affatto rispondenti ai testi legislativi di cui alla Convenzione ed ai suoi protocolli, bloccano da anni il normale procedimento di ratifica di strumenti comunque già firmati. Pacta sunt servanda, e quindi andrebbero ratificati senza patemi. Siamo al paradosso, se si pensa che il disegno di legge governativo attualmente in votazione alla Camera, e tarpato appunto dalla Lega, porta la firma di ben 10 ministri dell’attuale Governo (compresi vari esponenti di spicco della Lega); e ancor più se si pensa che la Lega Nord si è autoproclamata partito di tutela degli interessi del territorio ed ha nelle vallate alpine le sue roccaforti. Mah…
Che bilancio possiamo fare quindi dopo 20 anni di esistenza di questa Convenzione? Siamo partiti dagli aspetti negativi, che sono appunto legati ad una Convenzione tarpata. Mancata ratifica e quindi mancata appropriazione da parte del territorio ne fanno poco più di una linea guida per gli uomini di buona volontà. Ma qui iniziano anche le belle notizie. Perché di uomini e donne di buona volontà nelle Alpi ce ne sono in abbondanza. In questi ultimi anni si sono costituite svariate “reti” sul territorio, la cui missione è proprio quella di attuare la Convenzione delle Alpi (a livello di comuni, regioni, aree protette, destinazioni turistiche, club alpini, ricercatori, eccetera). Attraverso queste reti la Convenzione vive, ed in alcuni casi ha portato a risultati tangibili sul territorio.
E il presente è fatto anche di un importante numero di Gruppi di Lavoro e di esperti, provenienti da tutti i Paesi alpini, che producono oggi una mole assai rilevante di analisi, studi e raccomandazioni, facendo da cassa di risonanza alla cooperazione transfrontaliera fra le regioni alpine, insita nei geni delle popolazioni delle Alpi e fonte di importante scambio di conoscenza e benessere. Che si tratti di problemi “storici” quali i trasporti o la biodiversità, o di questioni emerse di recente come i cambiamenti climatici e i rischi naturali, o la gestione delle acque, o ancora di dinamiche demografiche e fenomeni socio economici quali il turismo, l’agricoltura e le relazioni fra la popolazione e i grandi predatori che oggi tornano a popolare le Alpi (lupo, orso, lince), la Convenzione delle Alpi offre un quadro di riferimento autorevole al quale si appellano sia studiosi che rappresentanti politici nei Paesi terzi. Non è un caso che il modello “Convenzione delle Alpi” sia stato replicato nei Carpazi e altre aree montuose abbiano posto le prime pietre per cammini simili (ad esempio i Balcani).
Il futuro non può che essere nel rafforzamento ulteriore della presenza della Convenzione sul territorio. Chi se ne è accorto, ad esempio i comuni austriaci, ne gode già i frutti (anche in termini economici). Il cammino da percorrere è ancora lungo e tortuoso. Ma se le Terre Alte vogliono tornare a contare, non ci sono alternative. Buttarsi, come vorrebbero alcune regioni parzialmente alpine, nella costruzione di non meglio definite strategie macroregionali per le Alpi richiede attenzione: se si tratta di rafforzare la Convenzione delle Alpi ha un senso, se si tratta di buttarla a mare, le Terre Alte ne pagherebbero un caro prezzo.
Marco Onida*
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