Salvare le memorie attraverso la creazione di un archivio multimediale globale: questo, in estrema sintesi, il progetto “Granai della memoria” attivato dall’Università degli Studi di Scienze gastronomiche di Pollenzo. I saperi materiali e immateriali, documentati attraverso video-interviste agli anziani, veri testimoni della memoria, vengono raccolti, archiviati e salvaguardati. Ciò che si vuole è creare un granaio, fatto di chicchi di memoria, un deposito capace di aiutare l’umanità “negli inverni che verranno”. Tuttavia, i Granai della memoria non  vogliono essere soltanto un contenitore di ricordi – cosa che, per dirla con Carlin Petrini, sarebbe una vera miseria – ma vogliono stimolare una nuova visione del mondo da parte dei giovani. Nuova, anche se in realtà antichissima, e innovativa, perché basata sulle nuove tecnologie: minuscole videocamere, grandi come un cellulare, ma ad alta definizione, con cui realizzare le interviste; un sito internet semplice e immediato che raccolga il materiale geo-referenziato – cioè legato al contesto territoriale e culturale in cui nasce – e organizzato per macro-aree. Tutti devono poter inserire, ma anche visionare le memorie dei Granai, con estrema facilità.

Le nuove generazioni sono quindi il punto di arrivo di un processo che guarda al passato per migliorare il futuro: è a loro che va trasmessa la conoscenza di ieri, per re-imparare a vivere il domani. Con questa logica, l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche organizza per i suoi studenti ben cinque viaggi didattici all’anno, in Italia, ma anche nel resto d’Europa e nei continenti extra-europei. Armati di videocamere e tanta curiosità, piccoli gruppi di ragazzi scandagliano ogni angolo del pianeta a caccia di memorie legate al cibo e non solo, per imparare dai “vecchi”, per salvare il salvabile.
Recentemente ho accompagnato quattro di loro – una modenese, uno svizzero ticinese, una colombiana di Bogotà e un turco di Istanbul – in uno stage in Valle d’Aosta. In un viaggio di quattro giorni, dalla Valle di Ayas fino al passo del Gran San Bernardo, i ragazzi si sono infilati nelle botteghe dei sabotiers di Antagnod, produttori degli zoccoli in legno, caldi in inverno e freschi d’estate. Giovani anche loro, questi nuovi artigiani portano avanti la tradizione antica dei loro nonni, usando gli stessi utensili, ma vendendo sul web.
Gli studenti si sono inerpicati per i non sempre dolci pendii sopra Brusson per raggiungere gli alpeggi e scoprire i segreti della fontina; hanno ammirato le coltivazioni protette del genepy, hanno visitato un’antica latteria turnaria, sbirciato nelle pagine ingiallite dei vecchi registri, ammirato le forme lignee per fare il burro, di un giallo mai visto in città. Hanno ammirato i vigneti di Donnas, coraggiosamente abbarbicati su ripide terrazze, a sfidare un suolo non docile per produrre ottimi vini. Hanno assaggiato la morbidezza del teutin, la mammella cotta della vacca, piatto gustosissimo, figlio della povertà, che ci insegna che niente va buttato. E infine hanno conosciuto persone del posto, giovani e anziani, felici di condividere il loro modo di vivere, di lavorare, di ricordare. Uno di loro si chiama Franco Zublena: nella sua abitazione di Aosta, insieme all’inseparabile moglie, circondato da centinaia di fotografie e oggetti parlanti, ha risposto paziente alle nostre tumultuose domande sulla sua vita. Non riuscivamo a smettere e il tempo volava via. I Granai della Memoria racchiudono anche le storie di vita e il nostro testimone ne ha una interessantissima: parte dalle difficoltà della Seconda guerra mondiale, ripercorre l’infanzia, poi il lavoro con il padre – esperto di fontina e di tradizione alimentare valligiana – fino all’invenzione di un prosciutto odoroso di erbe montane. Attraverso ricette di casa, ricordi degli affetti, indimenticabili itinerari in bicicletta lungo l’Europa senza soldi in tasca, Franco Zublena si è voluto raccontare, perché – ci ha detto – “senza memoria tutto è perduto”. E quindi, meglio che ci diamo da fare.
Valentina Leone

Info: www.slowfood.it