Dal 2009 il Parco Regionale dell’Alpe Veglia e dell’Alpe Devero, che occupava oltre 8000 ettari, lungo il confine tra l’Ossola, la Val Formazza ed il Vallese, ha quasi raddoppiato la propria superficie, unendosi al poco distante Parco dell’Alta Valle Antrona. Anche se le due aree protette rimangono fisicamente separate, la gestione unitaria di due realtà così preziose rappresenta un importante passo in avanti nei confronti di una visione integrata della conservazione delle risorse naturali e della tutela di quelle attività della montagna compatibili con uno sviluppo sostenibile, ben rappresentate dai magnifici alpeggi di Veglia e Devero. Purtroppo, però, il nuovo parco ha dovuto subito fare i conti con gli effetti dei pesantissimi tagli della spesa regionale per le aree protette e l’ambiente, il cui paradossale primo risultato è stato quello di non poter assumere nessun nuovo dipendente, nemmeno con contratti temporanei, rendendo di fatto vano l’allargamento delle aree tutelate.
«Ormai sono anni che la Regione Piemonte non ha una vera politica nei confronti dei parchi, si pensa solo a risparmiare per coprire i buchi di bilancio generati dal settore della sanità, che da solo assorbe una grandissima percentuale delle spese regionali», spiega il direttore del parco, Ivano De Negri. Come accade ormai in moltissimi settori, anche per la protezione dell’ambiente si cerca sempre più spesso una mano oltre confine ed il Parco Veglia-Devero-Antrona finora è stato molto attivo nell’ambito del programma Interreg di cooperazione transfrontaliera tra Italia e Svizzera. Anche questa possibilità, però, rischia di venire vanificata, dal momento che la Regione, come racconta De Negri, ha bloccato anche i finanziamenti necessari per co-finanziare i progetti comunitari, richiesti obbligatoriamente dall’Unione Europea.
Un importante progetto transfrontaliero attivo nell’area del parco è il cosiddetto Progetto Alpeggi, che porta un contributo fondamentale al mantenimento di un’attività di vitale importanza nel delicato equilibrio tra uomo e natura in alta montagna, permettendo al parco di venire visto dalla comunità locale non solo come un “cane da guardia” dell’ambiente naturale, ma come una realtà in grado allo stesso tempo di tutelare l’ambiente e sostenere la vita in montagna. Anche il rapporto tra parco e popolazione, però, costruito con fatica nel corso degli anni, rischia di venire messo in discussione dalla carenza di fondi, come spiega Ivano De Negri, in un vero e proprio grido d’allarme: «Per ora stiamo vivendo grazie al lavoro fatto negli scorsi anni, ma se questo blocco totale dei trasferimenti continuerà e se non verrà realizzata la promessa riorganizzazione del settore parchi, annunciata ormai da anni, l’attività del parco rischia di essere completamente paralizzata».
A fare le spese di questa scellerata politica di tagli senza se e senza ma, non saranno solo quelli che troppo spesso vengono sprezzantemente definiti “ambientalisti”, ma tutti coloro che vivono e lavorano a contatto con l’area protetta, per primi gli allevatori e gli agricoltori, il cui prezioso lavoro nel mantenere gli alpeggi ed i prati a sfalcio e nel tramandare la tradizione della transumanza stagionale, veniva sostenuto, anche economicamente, proprio dal parco. Perfino il Museo dell’alpeggio, una delle mete preferite dei visitatori estivi dell’Alpe Devero, rischia di rimanere chiuso, fin dalla prossima estate, per la completa mancanza delle risorse necessarie.
«Si tratta di un problema strutturale, non contingente – ci dice Lorenzo Scandroglio, figura nota in Ossola, giornalista di montagna, gestore di rifugio e sci-alpinista –. La classe dirigente italiana non è in grado di pensare alla montagna in modo adeguato, come il luogo di vita di comunità umane e non solo come un territorio da sfruttare. In più, nei momenti di crisi come questo, a pagare sono sempre i più deboli: la cultura, la scuola e la montagna, che in Italia, anche se è tanta, è troppo debole».
Giacomo Pettenati