Luca Andreoni, Non si fa in tempo ad avere paura, curato da Francesco Zanot, testi di Francesca Lazzarini, Francesca Mila Nemni, Francesco Zanot, prodotto dal Mountain Photo Festival, Musumeci Editore, Aosta 2011.

L’oggetto della recensione di questo mese è un libro di fotografia. Non si tratta però di uno dei tanti testi fotografici che racchiudono una serie di immagini scattate in due settimane e che, come affermerebbe  Brian Ulrich, «viste una volta, viste per sempre». Al contrario, il libro Non si fa in tempo ad avere paura di Luca Andreoni, uno dei fotografi più attivi della fotografia italiana contemporanea, è una delle sue rare uscite editoriali e raccoglie tre lavori integrali “Tunnel” (2005-2006), “Orridi” (2007) e “Crepacci” (2008-2009) che hanno impegnato l’autore per ben un lustro. La struttura tripartita ricorda quella della Divina Commedia ma “Non si fa in tempo ad avere paura” non è scandito da un percorso che partendo dall’inferno arriva al paradiso, tramite un viaggio ascensionale. Nel libro ci si muove all’interno del nostro pianeta, tra le montagne, le sue buie caverne, la relazione tra l’artificiale e il naturale, circondati da rocce e ghiaccio. Il susseguirsi delle immagini sviluppa un discorso poetico fatto di fini dettagli, nuance di colore, riferimenti simbolici attraverso una narrazione visuale che, con le sue lente trasformazioni e successioni, costituisce il nocciolo del lavoro. L’alta qualità della stampa aiuta ad addentrarsi tra i tre lavori che fanno parte di questa ricerca personale sull’animo umano, racchiusi da un titolo unificatore, verso il finale della poesia La galleria di Gianni Rodari: non si fa in tempo ad avere paura.
Il percorso inizia dalla serie “Tunnel”, dove immagini statiche, di luoghi generalmente percepiti e attraversati a grande velocità, permettono all’osservatore di sviluppare riflessioni insolite. I colori saturi delle luci artificiali, le gallerie deserte, immobili, scavate all’interno della terra o nascoste nella nostra mente generano un paesaggio infernale.
Gli “Orridi” sono il simbolo del tentativo antropico di dominare la natura, di esorcizzare la propria paura. Le immagini affiancano a questi luoghi del lavorio naturale, dell’incessante scorrere e gocciolare dell’acqua, le scalette di metallo, le passerelle, i ponti che vogliono rendere facilmente praticabili anche questi luoghi selvaggi, spaventosi.
Terza tappa di questo viaggio nel profondo è la serie “Crepacci”, che Andreoni ha sviluppato calandosi nella profondità delle fenditure dei ghiacciai alle pendici del Monte Bianco. Il ghiaccio, soggetto unico e pervasivo delle immagini, sembra aprirsi davanti allo spettatore, ma nello stesso tempo lo inghiotte. Le sensazioni discordanti si riflettono sui colori e sulle luci che si generano sulla superficie di questa materia fredda e angosciante, che, tramite lo sguardo-guida del fotografo assume forme sinuose, quasi antropomorfiche. La paura si lega alla bellezza, al fascino del sublime.
Giacomo Chiesa