Luogo: Frassino (752 m), CN
Progetto: Sellini e Gili Studio Architetti Associati
Cronologia: progetto 2005, fine lavori 2007

Sempre più si ripropone in ambiente alpino un annoso quesito: che fare del patrimonio edilizio lasciato in eredità dai “ruggenti” anni sessanta, stagione in cui l’unico modo per ammodernare i borghi montani e rincorrere il nascente turismo di massa pareva essere la rottura con l’edilizia tradizionale e l’importazione di tipologie, tecniche e materiali alieni?
Quest’intervento affronta la questione di petto cercando una risposta nel rimando esplicito alle architetture alpine di maestri del Moderno quali Mollino.
La nuova sede della Comunità Montana Valle Varaita si colloca nella piazza centrale del piccolo comune di Frassino, più o meno a metà di una delle due valli del Monviso, nel Piemonte Meridionale.
L’edificio di partenza era costituito da un albergo, ora in disuso, di quattro piani fuori terra costruito a fine anni sessanta e caratterizzato da strutture latero-cementizie, mattoni faccia vista, fasce marcapiano e balconi aggettanti; un pastiche compositivo che si era tentato di rendere più “alpino” attraverso un ultimo livello composto dall’accostamento di tanti piccoli abbaini con copertura a due falde.
L’intervento di ristrutturazione ha riguardato sia la definizione di un nuovo layout funzionale che la riconfigurazione dell’involucro esterno dell’edificio, senza alterare la preesistente struttura portante. Il nuovo complesso ospita al piano terra l’ufficio turistico, la presidenza con la sala giunta e la sede della protezione civile, al seminterrato gli archivi e la sala consigliare ed al piano superiore i differenti uffici dell’ente.
Nel ridisegno dell’involucro edilizio, gli architetti hanno attuato un’opera di semplificazione ed asciugatura di coperture e facciate: Il complicato gioco di abbaini viene sostituito da una semplice copertura a due falde con travatura lignea; la precedente alternanza di vuoti e pieni delle facciate viene sostituita da una copertura che recupera il volume dei balconi.
Sul fronte nord, rivolto verso la piazza, la facciata viene rivestita da una “nuova pelle” strutturalmente indipendente dall’edificio preesistente: sei montanti metallici sorreggono una sequenza orizzontale di fascioni di listelli lignei e di ampie finestrature a nastro e terminano raccordandosi con l’estremità dei puntoni della copertura; due spalloni in pietra delimitano la nuova facciata e risolvono il rapporto con gli edifici limitrofi.
Anche la nuova alternanza pieni-vuoti viene ricondotta a questa logica orizzontale: il pieno centrale degli uffici viene contenuto dai due vuoti del porticato al piano terra – che definisce un nuovo spazio di transizione tra la piazza ed i locali pubblici del complesso – e del loggiato all’ultimo livello.
Una logica simile, ma con il solo utilizzo di muri intonacati, caratterizza il fronte retrostante rivolto verso il fiume.
Si tratta di un intervento che potremo definire quasi didattico nella sua capacità di indicare una possibile via nel recupero del patrimonio edilizio post-bellico.
Un intervento che tuttavia lascia l’amaro in bocca se osservato in rapporto alla sua cornice istituzionale e che evidenzia come, in Italia, i tempi dell’Architettura e quelli della macchina pubblica quasi mai coincidano. Proprio ora che – dopo anni di sforzi e di finanziamenti regionali quali i GAL – si stava assistendo alle prime operazioni esemplari di architettura per degli enti alpini – si pensi anche al recupero della sede della vicina Comunità Montana Valli Po Bronda Infernotto – la nuova riorganizzazione delle comunità montane rischia di rendere inutili o inadeguati questi interventi trasformandoli in altri “relitti” dall’incerto destino.
Mattia Giusiano e Roberto Dini