Presidente della nuova Comunità montana è Roberto Colombero, giovane sindaco (classe 1976) di Canosio, microscopico comune di 88 residenti, che si sviluppa a partire dai 1300 metri, in una diramazione dell’alta valle. Secondo Colombero, quello che bisogna giudicare non è tanto la riforma, quanto l’atteggiamento generale della politica nei confronti della montagna. «Bisogna fare una distinzione tra le strategie, che a parole sono condivise da tutti, e la tattica, la politica reale, della quale sembra che non freghi niente a nessuno» attacca. «I politici devono smetterla di proclamare l’abolizione delle Comunità montane nelle piazze delle città per raccogliere applausi, solo chi non conosce la realtà della montagna può pensare che un ente sovracomunale come questo sia inutile».
Ovviamente, prosegue il presidente, una situazione del genere rende difficile governare un territorio: «Il grosso problema è l’incertezza nei confronti del futuro, di quante risorse avremo, delle possibilità che ci verranno concesse di assumerci delle responsabilità e mettere in pratica le nostre politiche. Siamo obbligati ad un’amministrazione di routine, senza avere la possibilità di mettere in atto una strategia, e questo demotiva anche il personale».
A essere demotivato non è solo chi lavora nelle istituzioni: una serie di interviste effettuate nelle valli (riportate nell’articolo successivo) dimostra lo scarso attaccamento della popolazione nei confronti della Comunità montana. Interpellato su questo, Colombero riconosce il problema, difendendo però appassionatamente l’ente che presiede. «Le Comunità montane non sono mai entrate nel cuore delle persone che abitano in montagna perché non hanno mai venduto bene quello che fanno. Invece è importante fare capire alla gente che queste istituzioni servono, io sono sindaco di Canosio, un comune di 90 abitanti, senza un ente superiore sarebbe impossibile mettere in atto progetti di ampio respiro. Inoltre si dicono un sacco di balle sugli sprechi delle Comunità montane. Vi sembra giusto che da aprile il presidente della Comunità montana non riceva nessuna indennità, mentre un consigliere regionale, con molte meno responsabilità, abbia uno stipendio di 10-15.000 euro?».
Secondo il presidente, sono molti i progetti che la Comunità montana ha in mente per le due valli (in realtà la Val Grana viene poco citata), in attesa che si creino le condizioni per realizzarli: la diffusione della linea Adsl in alta Val Maira (in parte già avvenuta), la costruzione di una nuova centralina idro-elettrica, l’acquisizione dello stabilimento di acque minerali a San Damiano Macra, la valorizzazione della filiera del legno e, ovviamente, la difesa dei servizi locali, minacciati dai tagli ciechi degli enti superiori.
L’intervista si conclude con una riflessione di Colombero sulla politica locale e non solo: «Finora molti amministratori hanno visto la Comunità montana come una specie di bancomat, al quale attingere in caso di bisogno. Oggi non può più essere così e a capirlo sono stati soprattutto i giovani. Per amministrare un territorio nelle condizioni in cui ci troviamo ora ci vuole fantasia e la fantasia è prerogativa dei giovani. Per questo noi amministratori giovani stiamo cercando di lavorare insieme, superando le logiche partitiche ed è un modo di fare politica che dovrebbero tenere presente anche ai livelli più alti».
Il distacco tra le Comunità montane e gli abitanti delle valli, sottolineato anche dal presidente Colombero, emerge con chiarezza parlando con chi vive e lavora quotidianamente in montagna, i cui giudizi sull’operato della Comunità montana sono molto duri, al di là della riforma in atto.
Una serie di telefonate ad alcuni esercizi ricettivi e commerciali delle due valli permette di concludere, con un certo stupore, che le “persone comuni” non si siano quasi accorte della riforma dell’ente, se non per quanto riguarda l’accorpamento di Val Maira e Val Grana in un’unica istituzione, che ha generato numerose polemiche.
«La vera Comunità montana siamo noi che lavoriamo tutti i giorni sul territorio», dicono dalla locanda di Chialvetta, stupenda borgata in una valletta incontaminata, poco distante da Acceglio.
«Le comunità montane erano e restano inutili, sarebbe meglio potenziare le risorse dei comuni, che sono gli unici enti davvero presenti sul territorio», sbotta un ristoratore della Val Maira, che preferisce non venire citato per il timore di perdere clientela, comprensibile, se si considera che in tutta l’alta valle vivono poco più di 1500 persone.
La musica non cambia se ci si sposta in Val Grana: «Non abbiamo percepito il cambiamento, anche perché non abbiamo quasi mai lavorato con la Comunità montana», dicono da un agriturismo di Pradleves, scettici anche per quanto riguarda la “fusione” con la Val Maira, come anche la titolare del vicino Albergo della Pace: «Almeno prima la Comunità montana era fatta di persone del territorio, che si conoscevano, ora sarà più difficile lavorare con loro, anche perché la sede sarà molto più lontana» (la sede della Comunità Montana della Val Grana era a Caraglio, alle pendici della valle).
Molto dura sull’attività della Comunità montana è Ines Cavalcanti, direttrice della Chambra d’Oc, associazione molto nota nelle valli occitane: «La nostra associazione svolge un lavoro culturale di alta qualità, riconosciuto da tutti, eppure non abbiamo quasi nessun contatto con la Comunità montana. Il problema principale è che da noi manca una vera classe dirigente politica. A questo si aggiunge un eccesso di burocrazia, in mano a funzionari inadeguati, che tutti conoscono, ma che sono considerati intoccabili. Per questo è inutile pensare che cambiando l’ente si riesca a cambiare anche il contenuto, la Comunità montana non ha una propria linea politica e ora, con questa riforma, non è nemmeno più espressione di un territorio riconoscibile».
Michelangelo Ghio, ex sindaco di Celle di Macra ed ex assessore in Comunità montana, convinto dell’insufficienza della riforma, ritiene che il problema vada cercato alla radice, nei principi istitutivi delle comunità montane. «Il difetto principale delle Comunità montane è che non nascono dalle esigenze dei comuni, ma dalla necessità dei livelli superiori di razionalizzare le politiche territoriali. –  spiega -. Sarebbe meglio che, come avviene in Francia con le communauté de communes e i pays, i comuni si sedessero intorno a un tavolo per esprimere i propri bisogni e, a partire da quelli, costruissero un ente sovracomunale, destinato ad occuparsi di tutte le necessità individuate. In alternativa si potrebbero creare delle vere province montane, che permetterebbero anche di risolvere l’attuale sovrapposizione di competenze tra provincia e comunità montana».
Ghio è scettico anche sugli effetti politici della riforma: «Mi sembra che l’elezione diretta del presidente incentivi lo scontro politico, anziché puntare sulla cooperazione per affrontare dei temi condivisi. È vero che nella nostra Comunità montana si è presentata una sola lista, ma mi è sembrata più interessata a fare fuori i vecchi vertici che a proporre un progetto nuovo. Il governo del territorio dovrebbe ragionare sul lungo periodo, fare delle scelte anche difficili da far capire agli elettori, ma pensate per il bene comune».
Giacomo Pettenati

Info: www.vallemaira.cn.it