L’anno della Comunità montana Alpi del Mare è trascorso sotto il segno della precarietà: «Abbiamo lavorato molto, però molto male perché a partire dalle elezioni di marzo sopra alla scrivania incombeva la spada di Damocle della preannunciata volontà politica, in particolare della Lega, di chiudere le Comunità Montane». Di fronte all’incertezza del futuro, l’atteggiamento degli amministratori è stato quello di andare avanti «non dico come se nulla fosse, ma snobbando questa situazione e pensando di organizzarci come nuova Comunità montana». E di lavoro da fare ce n’era parecchio, poiché la Comunità montana ha cambiato nome e assetto tre volte negli ultimi dieci anni: «Oggi comprende i dieci comuni della prima Comunità montana nata nel 1973 con l’aggiunta di altri due comuni: Pianfei e Beinette. In sostanza abbiamo lavorato per sei anni a dividerci e ora è un anno che lavoriamo per riunirci». Anche la Comunità montana Valle Stura ha vissuto una riorganizzazione territoriale: «Prima la Comunità montana includeva dodici comuni, oggi è passata a quattordici con l’ingresso di Vignolo e Cervasca: così finalmente si copre l’intera asta del fiume Stura».
Varrone sottolinea alcuni cambiamenti positivi apportati dalla riforma: «La precedente normativa prevedeva che i comuni inviassero dei propri rappresentanti, oggi invece c’è una lista del presidente svincolata dai comuni che può fare una politica autonoma e coerente di programmazione sul territorio, anche se chiaramente di concerto con i municipi. In particolare per la Comunità montana Valle Stura si è determinata al momento delle elezioni la presentazione di due liste: il dibattito democratico che ne è seguito e che continua tuttora si è rivelato un’occasione di maggiore vivacità dal punto di vista operativo». Un analogo giudizio positivo sulle nuove modalità di elezione del presidente viene da Boccacci: «L’elezione diretta mi fa dire di non essere più il rappresentante dei municipi, ma il rappresentante di un territorio».
Più complesso è invece il discorso che riguarda il ruolo di agenzie di sviluppo che la legge regionale ha attribuito alle Comunità montane. Secondo Pier Paolo Varrone «purtroppo non è cambiato niente: quello di ‘agenzie di sviluppo’ rischia di rimanere un titolo, perché si tratta di un compito non corroborato da risorse. Le Comunità montane vivono di stanziamenti trasferiti dallo Stato, uno Stato che al momento le disconosce. Oggi siamo ancora in attesa di conoscere i trasferimenti che ci verranno attribuiti, ma se le risorse saranno quelle che la Regione ha previsto, sono così scarse da vanificare di fatto i nuovi compiti che ci ha attribuito un anno fa».
Boccacci sottolinea come la promozione economica del territorio sia in realtà un’attività svolta da sempre dalla Comunità montana: «Come ente di programmazione da anni portiamo le risorse finanziarie sul territorio facendo di fatto da agenzia di sviluppo. Come Comunità montana abbiamo puntato in questi anni – e ne stiamo raccogliendo i frutti – a investimenti molto grandi, abbiamo partecipato a tutti i bandi possibili e immaginabili europei, nazionali e regionali; abbiamo realizzato un’area attrezzata per piccole e medie imprese; abbiamo insediato tredici aziende nuove, alcune delle quali venute dalla pianura. Abbiamo ottenuto finanziamenti per i progetti leader. Come Comunità montana siamo un GAL e come tale interveniamo da quindici anni in favore dell’imprenditoria privata attraverso un artigianato e un turismo di qualità. Senza contare il patto territoriale che viene gestito con diciotto aziende sul territorio». D’altro canto gli aspetti davvero innovativi previsti dalla legge sono tuttora in attesa di essere normati nel dettaglio e finanziati: «…energia, boschi, turismo di montagna: bisogna che la Regione – se non ci abolisce – stabilisca chi deve fare cosa, con quali fondi e con quale personale a disposizione».
Con molti oneri, onori scarsi e ancora minori fondi, che cosa fanno oggi le due Comunità montane? Gestiscono l’ordinarietà, e non è poco. La CM delle Alpi del Mare in situazione di carenza di personale, la CM Valle Stura a organico completo, entrambe continuano nell’attività di programmazione, pianificazione e promozione del territorio di concerto con i comuni e con gli altri interlocutori pubblici e privati, promuovono turismo e cultura, gestiscono in forma associata i servizi per i comuni – servizi che vanno dall’ufficio tecnico e di ragioneria ai servizi socio-sanitari. Si tratta di portare avanti i progetti in corso e di dare gambe a quelli iniziati e ora in forse per mancanza di fondi. Per esempio la Comunità montana Valle Stura ha sul tavolo un progetto che la vede partner del dipartimento dell’Haute Provence per la promozione della valle. Il problema è che la Comunità montana in questo momento non sa se potrà ancora permettersi di partecipare: «Per questo e per altri due progetti (la valorizzazione del Colle della Maddalena, la realizzazione di un percorso cicloturistico dalla pianura oltre Fossano al Colle della Maddalena lungo un percorso militare) la Comunità montana ha ricevuto un finanziamento, ma è comunque richiesta una sua compartecipazione, benché minima, di cui a oggi non dispone. E tutto quanto rischia di andare a monte» afferma Varrone.
E se ad andare a monte alla fine fossero le Comunità montane? Se la spada di Damocle dovesse davvero cadere e le Comunità montane sparissero, che cosa succederebbe?
«Il vero problema è che nessuno lo sa» – risponde Boccacci –. «Se tu vuoi chiudere qualcosa che svolge funzioni utili devi avere almeno chiaro in mente che cosa lo sostituirà. Per esempio: se si dicesse “aboliamo le Comunità montane entro lo scadere della legislatura”, si dovrebbe anche dire perché le si vuole abolire e soprattutto con che cosa le si andrà a sostituire e quali sono gli obiettivi da raggiungere con la nuova organizzazione. Vorremmo però una proposta concreta e condivisa».
La realtà è ben diversa e per certi versi paradossale, come mettono in evidenza i due amministratori: da un lato il legislatore nella finanziaria 2010 ha abolito le Comunità montane, dall’altro a maggio del 2010 (L. 122/2010) ha reso obbligatoria la gestione associata dei servizi per i piccoli comuni: «È una contraddizione bella e buona – nota Varrone – perché consorziare i servizi dei piccoli comuni è esattamente quello che stanno facendo le Comunità montane». Il risultato sarebbe quello per cui, conclude Boccacci, «chi vuole abolire le Comunità montane finirà per dover copiare quello che le Comunità montane stanno facendo da decenni»: una volta abolite le comunità montane, insomma, ci sarebbe bisogno di qualcosa di molto simile alle Comunità montane. È quello che sembra dire il legislatore schizofrenico: le Comunità montane sono superflue, ma abbiamo bisogno di qualcosa (non si sa bene ancora che cosa) che faccia quello che fanno le Comunità montane – come dire: a morte le Comunità montane, viva le Comunità montane!
Irene Borgna

Info: www.cmalpidelmare.org
www.vallestura.net