L’ultima puntata della nostra serie fotografica è dedicata a una riflessione sui luoghi di risulta legati alla fruizione massivora di cui si è parlato il mese precedente. Le aree a parcheggio, sia nei periodi di piena, che nei periodi di magra, sono spesso un’icona piuttosto simbolica dei non-luoghi della montagna di oggi, ordinari junkspaces oscillanti, a seconda del tempo, tra il sovrasfruttamento intensivo e il semiabbandono, in questo caso manifestazione simbolica di ciò che Gilles Cléments definirebbe come terzo paesaggio.
Lo spazio della sosta dei veicoli, oltre che essere appunto luogo di parcheggio, è nelle aree di montagna un luogo di retroscena, dove sovente ci si riposa, ci si rifocilla, ci si cambia persino prima o dopo lo sci, o un’escursione.
Soggetto spaziale anti-aulico per eccellenza, secondario probabilmente solo alle zone intercluse stradali e alle aiuole spartitraffico (in cui il geniale James Ballard ha ambientato un intero romanzo psichedelico, “L’isola di cemento”), spazio dimenticato, ritaglio di territorio il cui impatto ambientale è tuttavia considerevole. Nelle città colpisce per l’occupazione di ampi spazi, in genere posti nelle zone di frangia tra l’urbanizzato e le aree circostanti, con alcuni problemi se ricoperto con asfalto, in quando aumenta la superficie di suolo impermeabile e influenza, a causa dell’alto assorbimento-riemissione sotto forma di calore dell’energia solare, il microclima locale estivo. Ma il parcheggio è anche la “porta” del paesaggio montano vissuto dall’urbanità esterna, luogo di interscambio effettivo tra la località di partenza e quella di arrivo. Per quanto essenziale in un sistema di utilizzo massivoro della montagna, è un luogo che non appartiene all’iconografia classico-affettiva montana, incentrata, come si è detto il mese precedente, su ben altre tematiche. Per questo motivo esiste una sorta di schizofrenia dualistica legata all’uso e alla rappresentazione di questi luoghi. L’immagine dovrebbe essere in realtà influenzata dalla lettura per così dire cartografica (ovvero oggettivante) del territorio, riducendo la componente individuale-soggettiva propria del mezzo fotografico (Turri, 1998) a favore di una funzione, sempre teatralizzata, ma integrata con la realtà. Questo procedimento è anche rivolto al superamento dello stimolo incondizionato e continuo contemporaneo a favore di un’iconografia più consapevole.
L’oblio delle aree junkspace di montagna, spesso piuttosto vaste, anche se mai a sufficienza, destinate ad usi per veicoli promiscui, è il punto di presa-riflessione sulla realtà proposto in questa galleria fotografica, proposta di consapevolezza: perché non riaffermare la dignità dello spazio e interesse alle sue funzioni, pensando meglio alla progettazione?
Giacomo Chiesa e Alberto Di Gioia