Celle Macra è un piccolo comune della Valle Maira, in Provincia di Cuneo, sui 1300 metri di altitudine, con 18 borgate sparse su una superficie di 30 chilometri quadrati. Piccolo comune che ha condiviso con la stragrande maggioranza dei paesi delle Alpi una storia di progressivo spopolamento e lenta sparizione dell’economia locale.
Salendo i tornanti della strada verso il municipio si fatica ormai a leggere la storia passata di una comunità che ancora negli anni ’50 contava 1500 residenti, e oggi ne ha poco più di 50: si intravede la fascia dei coltivi, che un tempo doveva essere considerevole, quella del bosco, un tempo “tenuto”, con abeti, faggi e larici, e quella dei pascoli delle quote più alte, punteggiati da rododendri e rocce, fortunatamente ancora integra.
Si fatica a leggerne la storia per via del principale problema odierno del piccolo comune, quello che ormai è arrivato a premere sulle case delle borgate in maniera preoccupante: boscaglie e foreste che avanzano a ritmo impressionante sui terreni incolti e abbandonati.
Succede però che il suo sindaco, Marco Cucchietti, il problema se l’è posto con la sua giunta. E ha pensato bene di organizzare un incontro pubblico tra il professor Andrea Cavallero, della Facolta di Agraria dell’Università di Torino, e i suoi “cittadini”. Per presentare una possibile risposta al problema, un progetto di associazione fondiaria che gestisca le terre incolte. «Assistiamo alla sparizione di almeno l’1% di superficie a prato ogni anno – spiega il Primo cittadino –. Il bosco negli ultimi 10 anni ha preso ettari ed ettari di superficie da sfalcio».
Detto fatto, il sindaco organizza un incontro pubblico presso il suo comune e il professore si trova a dover “promuovere” la sua idea di fronte a una platea eterogenea, fatta di amministratori locali, studiosi, curiosi e semplici possidenti terrieri. «Con l’abbandono delle terre e il trasferimento della popolazione le superfici delle medie valli risultano oggi disabitate e sono avviate alla completa invasione arbustiva a forestale – spiega Cavallero –. A tutto questo si può reagire con un semplice strumento: l’associazione fondiaria». Le associazioni fondiarie sono delle libere associazioni tra proprietari terrieri, dove, nel caso italiano, il comune si farebbe garante nei confronti dei vari proprietari per recuperare e utilizzare al meglio le proprietà oggi abbandonate o mal utilizzate, creando un’unica unità territoriale sufficientemente ampia da poter essere utilizzata da un pastore. «Quelli che non ci stanno devono impegnarsi a gestire in modo autonomo il loro terreno – continua Cavallero –, perché l’elemento di forza dell’associazione è l’obbligo delle amministrazioni comunali di imporre la gestione dei territori per mantenere il decoro del paesaggio e per garantire la sicurezza del paese, ad esempio rispettando le norme anti incendio, prevenendo le possibili cause dei dissesti idrogeologici, o altri pericoli che possono derivare dall’incuria del territorio». In Francia addirittura, dove di queste associazioni se ne contano a decine, all’inizio quelli che erano contrari all’adesione venivano protetti con una recensione elettrificata per impedire che gli animali pascolanti entrassero nel territorio vietato. Applicando un cartello con su scritto: “Non ha voluto aderire al progetto”. E spesso dopo il primo periodo di titubanza aderivano anche loro all’iniziativa. «Nei confronti dei terreni di cui i proprietari non manifestano la loro titolarità – dice Cavallero – il comune provvede a gestirne nel modo migliore la superficie, facendosi garante che nessuno possa usucapirne la proprietà. Per cui il giorno che il proprietario, magari dopo cinque anni, magari dopo dieci, si faccia vivo, gli viene riconsegnato il suo terreno conservato nel modo migliore». Nessuno però pensi di potersi arricchire con questa operazione: «Le finalità dell’associazione – conclude Cavallero – sono la conservazione del territorio nei suoi aspetti paesaggistici fondamentali, per garantire fruibilità e vivibilità e per innescare, con il tempo, processi di qualificato recupero produttivo delle aree interessate».
In Italia per ora non ci sono ancora esempi del genere. E quello di Celle Macra potrebbe diventare il primo nel nostro paese.
Maurizio Dematteis

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