Stefano Fait, Mauro Fattor, Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso, Edition Raetia, Bolzano 2010, 224 pagine, 18 euro
Quello di Fait e Fattor è un coraggioso tentativo di rendere fruibile ad un pubblico di non addetti ai lavori, quello che nasce come uno studio di natura sociale ed antropologica della società altoatesina. Un tentativo che forse avrebbe potuto tendere ulteriormente verso il suo scopo divulgativo, omettendo la struttura dimostrativo-scientifica tipica di uno studio socio-antropologico. Nella sua natura ambivalente, infatti, il testo trova un limite.
Linguisticamente appropriato, espressivamente elaborato e ricco di esempi chiarificatori, il libro si sforza di giungere ad alcune dimostrazioni che però hanno poco dell’impalcatura tipica di un ricerca scientifica in senso stretto. Una forma discorsiva e divulgativa avrebbe aiutato la lettura del saggio che comunque ha un effetto dirompente grazie alla limpidità e alla forza del messaggio in esso contenuto.
Nella prima parte del volume, che Stefano Fait chiama pars destruens, l’autore “aggredisce dialetticamente” i tre “valori guida” della società altoatesina di lingua tedesco tirolese e italiana: l’Etnia/il Popolo (il Volk), la Cultura (Kultur) e la Patria (Heimat).
Coraggiosamente gli autori invitano i lettori a risvegliare la propria coscienza, a renderla critica nei confronti dei messaggi emotivi che la politica fomenta, a renderla indipendente dalle credenze e dalle superstizioni politiche e ideologiche che apparentemente tengono viva e unita una comunità, ma che in realtà la irrigidiscono e la negano nei suoi aspetti di solidarietà, di crescita e di trasformazione.
La seconda parte del volume è riuscita decisamente meglio della prima: a partire dal capitolo “L’ideologia tirolese” fino al termine del libro, gli autori offrono un’analisi del linguaggio politico e della sua capacità di influenzare e rifondare i rapporti sociali e, a cascata, gli specifici rapporti su cui si fonda l’ordine politico stesso, in un disegno circolare che si autoalimenta garantendo la propria continuità, riproduzione e sopravvivenza. A questa analisi segue la descrizione di uno spaccato storico della società Alto-Atesina attraverso il quale gli autori mostrano eventi, fatti, pensieri ed usanze, e il modo in cui essi vengono letti dalla comunità-vittima (come si vivono le minoranze altoatesine della Volkspartei) in chiave ideologica prima, valoriale poi, per giungere alla loro lettura in chiave mitologica e sacra. Interessanti gli spunti e i paragoni storici. Altrettanto interessante è l’analisi delle cultura identitaria che diventa genos e del suo rapporto con il logos di origine platonica (la lingua, la cultura di un popolo come elementi identificativi e assolutizzanti dello stesso) che sfocia nella terribile strumentalizzazione del topos al fine di assolutizzare e rendere a-temporale e sacra l’identità di un popolo/dell’etnia (il genos). La toponomastica ridotta a campo di battaglia sul quale far prevalere il modello chiuso e diffidente di società propugnato dalla Volkspartei altoatesina.
Il libro quindi, nella seconda parte, si riprende il titolo di elaborato scientifico e ne emerge tutta la sua qualità, paradossalmente accrescendo la stessa finalità divulgativa.
Daniela Zecca