di Alberto Di Gioia

Un orso incontra lo squalo e le nostre paure recondite suggerite da Spielberg quando entrambi causano la nostra morte. Ma noi di cosa andiamo in cerca?

Il 29 dicembre 2024 a Marsa Alam si è avverato uno dei nostri peggiori incubi: un povero connazionale (Gianluca Di Gioia, casualmente omonimo) è morto a Marsa Alam divorato da uno squalo tigre mentre faceva snorkeling a 50 m dalla costa. Ferito un amico che ha tentato di salvarlo.

Questo squalo ha incontrato il nostro destino ed è qui che, metaforicamente, incontra un orso. Un orso preciso, anzi un’orsa: JJ4, che ha causato la morte del runner Andrea Papi sulla montagna della Val di Sole.

Ma questo incontro tra squalo e orso probabilmente va molto in là, verso un’unione per qualcuno impensabile, quella tra mare e montagna. Ci arriveremo.


Serve una premessa. In primo luogo questo articolo potrebbe essere destinato a suscitare molte polemiche: se dato in pasto all’infosfera mediatica avrebbe tutti gli spunti giusti. Lo spunto principale è dato dal fatto che parla anche di morte, ma precisamente di morte umana: un assoluto tabù, in associazione al dolore, per quanto attiene la nostra civiltà occidentalizzata. In seconda battuta che tocca le sue relazioni con l'”Altro”.

Cos’è l’Altro: l’Altro è in maiuscolo perché è un concetto anche filosofico esteso (P. Ricœur, 1990) e utilizzato molto, oggi, ad esempio da B.-C. Han (“L’espulsione dell’Altro”, Nottetempo, 2024). Innanzitutto l’Altro non sono io. Che è un importante tassello iniziale. Ma non è nemmeno detto che l’Altro sia tu: se tu sei come me, o un po’ come me, al limite sei diverso da me; ma non sei l’Altro.

Nell’era in cui stiamo vivendo, profondamente neoliberista (prima), standardizzata e iperglobalizzata, trasformata in telematica, connessioni, reti digitali e social (poi), è molto difficile che noi entriamo a contatto con l’Altro.


Perché l’Altro è altro. Uscirà dai nostri codici, dal nostro linguaggio, dai nostri gusti, dalle nostre aspettative, forse anche dalle nostre capacità critiche. In definitiva: vogliamo-altro, ma un altro sufficientemente preparato, predisposto, usabile. Per spiegarmi meglio userò un ricordo: da bambino giocavo abitualmente al Gioco dell’oca – versione “Giro del mondo”. In una delle caselle trabocchetto della parte finale finivi catturato, su un’isola, da una tribù di cannibali. Nella casella i cannibali non li vedevi: vedevi l’isola, interamente verde, con una montagna. Apparentemente deserta: quell’isola era Il mistero, della mia infanzia. Passavi il tempo a chiederti come fossero fatti questi cannibali, come fossero ornati, vestiti, ma in definitiva la cosa più importante – diciamocelo – era chiedersi cosa mai ti avrebbero fatto se fossi stato rapito veramente per essere tali – cioè cannibali -: mi mangerebbero? Saranno veramente così cattivi?

Quel mistero era una montagna. Verde, deserta, con la sua ombra di morte. Questa suggestione è stata usata anche da Werner Herzog nel documentario “La Soufrière” (1977) sull’isola montana-vulcanica di Guadalupa. Una dimensione che veniva anche studiata nella realtà e che poteva portare a situazioni non troppo dissimili da quelle raccontate in quel gioco, come la spedizione dell’antropologo Michael Rockefeller (1938-1961) scomparso in Nuova Guinea – si ipotizzò oltre al resto, il rapimento e la sua fine in salsa Hannibal Lecter -. La cosa certa era che quasi nessuno, italiano, francese, statunitense o norvegese che fosse, avrebbe mai preso un aereo per andare in Nuova Guinea per turismo.

A meno che (sottolineato) quel qualcuno non amasse, leggesse, si documentasse di Nuova Guinea da una vita e quindi ci volesse andare veramente in Nuova Guinea, in modo non troppo dissimile da Rockefeller. Questa cosa non capitava tanto perché le popolazioni a noi vicine, occidentalizzate, giocassero molto al Gioco dell’oca – Giro del mondo, ma perché era chiaro a tutti (e poi anche al gioco) che l’Altro esisteva. Non c’entrava che i guineiani fossero o meno cattivi (lo capisci crescendo, o almeno dovresti). C’entrava che esistesse l’Altro. Non poteva essere trasformato in una domanda commerciale, o di benessere, e infatti «la diversità in qualità di termine neoliberistico è una risorsa che può essere sfruttata. Perciò si oppone all’alterità, la quale si sottrae a una qualsiasi valorizzazione economica. Oggi ognuno vuole essere diverso dagli altri, ma questo voler-essere-diverso non fa che prolungare l’Uguale» (Han, 2017, p.32). Gillo Dorfles, esperto di conformismo, ha chiamato questo Horror pleni (2008), come contrapposizione all’Horror vacui delle civiltà antiche, che vivevano immerse nel terrore del vuoto e del silenzio.

Ogni montagna verde di una piccola immagine ti può uccidere, nella realtà.

Nel mare blu dei nostri sfondi estivi del cellulare potrai morire.

Era chiaro a tutti.

Oggi è meno chiaro. Nel Ferragosto 2023 sulle Dolomiti friulane, in Val Settimana, il soccorso alpino ha dovuto recuperare in elicottero quattro persone rimaste bloccate a più di 2.000 m di quota dopo una piccola frana perchè erano saliti in quota in ciabatte da mare (https://www.ildolomiti.it/montagna/2023/bloccati-a-2000-metri-di-quota-con-i-sandali-di-gomma-quattro-escursionisti-recuperati-con-lelicottero-dal-soccorso-alpino). Ma già l’anno prima erano stati compiuti numerosi interventi analoghi, tra cui il salvataggio sul Piz Boè in Alta Badia (BZ) di una coppia in sandali e sneaker a 3.152 m, di un gruppo di turisti in infradito sulla Cresta del Presena a quote analoghe (https://www.giornaletrentino.it/video/con-i-sandali-infradito-in-ghiacciaio-a-3mila-metri-succede-anche-questo-1.3243921).

Qui qualcuno potrebbe però pensare, per fare il critico, che il problema potrebbe essere un cattivo rapporto del contemporaneo Homo sapiens con le calzature. Allora occorrerà indicare ancora, nell’inverno dello stesso anno a Piani di Bobbio in Valsassina (LC), una donna salita agli onori della cronaca locale per aver frequentato un corso di sci in minigonna (https://www.leccotoday.it/social/bobbio-sci-minigonna-collant-foto-.html).

Il tema di cui si sta parlando, al di là di ciabatte e minigonne, è molto serio e collega il rapporto che Homo sapiens ha instaurato/sta instaurando negli ultimi anni con la Terra.

La standardizzazione dei processi di vita iper-neoliberisti, interamente collegati a rapporti domanda-offerta di beni e servizi oggi anche ordinabili via web senza uscire di casa, anzi alzarsi dal divano, ha progressivamente impacchettato il mondo in tante grandi vetrine di cose, luoghi, persone, che possiamo avere, di cui possiamo usufruire, con cui possiamo entrare in contatto. In queste vetrine ci sono molti brand. Alcuni portano da un lato agli 1,6 miliardi di spostamenti aerei intercontinentali annui per scopi turistici (d’Eramo, 2021) a dispetto di tutti i modi di discutere di “transizione” – uno di quegli spostamenti impatta come il consumo in CO2 di interi comuni alpini -. Alcuni altri portano alle gite fuori porta finesettimanali, dove puoi andare su Piazza Cavour a Como sul lago o in Valsassina più o meno allo stesso modo. Alcuni ancora portano a tutte le opportunità che Homo sapiens può avere in tema di fitness alpino e montano, running, skiing, hiking, snowboarding, snowshoeing, cost training, trailing, rifting, tubing, bob roller coasting, biking, fat biking, freeriding.

Quel che stiamo descrivendo è il costituirsi di una specie di Hybris umana legata alla nostra fisicità e mortalità: “il superamento di ogni limite umano, grazie alla tecnologia e alla dilatazione della cultura dei diritti” (Ricolfi, 2024), dove possiamo fare tutto, o perlomeno aspirare a pensarlo. Homo deus, in altri termini (Harari, 2023).

Dobbiamo aggiungere che di fronte a questa neoHybris l’Altro oggettivamente permane. La montagna sarà sempre montagna. L’acqua sempre acqua – e in mare o nelle nostre piscine ogni anno muoiono circa 300 bambini in Italia (dato elaborato da Corsera, 2023 su ISS) per la disattenzione dei genitori o un messaggio inviato di troppo; più o meno il numero degli omicidi totali registrati nel Paese.

Di fronte alla neoHybris il Governo del territorio può lavorare molto, ma fino a un certo punto nelle relazioni di controllo diretto dei fatti. La morte, infatti, non sparirà, anche se alcuni hanno aspirazione del suo contrario. Nè un orso smetterà di essere un orso per noi, come ha magnificamente spiegato Werner Herzog in Grizzly Man (2005). Si deve investire in una direzione precisa: l’educare al territorio ma anche educare il territorio (nel modo definito e spiegato da Cristiano Giorda e Matteo Puttilli, 2011). Una educazione che deve essere, insieme, emozionale e razionale. Andare in un luogo dovrebbe significare, innanzitutto, amarlo; quindi conoscerlo, relazionarcisi mano a mano, con tatto, inserirsi nei percorsi di vita già presenti, di qualsiasi vita si stia parlando. Una educazione che riparta dall’anima e lo spirito del paesaggio, in una relazione di amore che recupera l’Àgape come amore disinteressato (leggi nel n. 119 di Dislivelli ” Alla ricerca delle Alpi perdute. Montagna, comunità, educazione”  https://www.dislivelli.eu/notizie/alla-ricerca-delle-alpi-perdute-montagna-comunita-educazione/). Il Governo del territorio dovrebbe indirizzare questo spirito nella costruzione di comunità e territorio in ogni sua forma, a partire dalla scuola.

Le persone morte citate nel testo, forse è doveroso precisarlo, non c’entrano direttamente con questo articolo che non è riferito agli specifici fatti. Un tempo si parlava di “disgrazia” e per quanto riguarda le morti specifiche non può che essere espresso cordoglio alle famiglie. Quello che però ci interessa è collegare i fatti tra loro nella comprensione della rotta della comunità umana, chiedendoci come Danowski e de Castro “Esiste un mondo a venire?” (2024). Ci interessa anche come possiamo viverci.