Parto da un concetto che uso spesso, quello della montagna come luogo di fiaba e magia. Un luogo che se nei prossimi mille anni non facciamo troppi danni, resterà li, fermo, divinamente bello, con la sua capacità di adattarsi ai grandi cambiamenti. Il problema invece siamo noi “rurali”, non la montagna, che se continua così sicuramente ci estingueremo.
La montagna abitata soffre e soffrirà, e noi stiamo assistendo inermi alla fuga non solo di persone ma anche di servizi, mentre poco si legge nelle statistiche nazionali sui fattori che portano allo spopolamento e quindi all’abbandono delle terre alte. D’altra parte, che siamo un paese vecchio lo si sapeva, non solo in termini anagrafici ma anche di pensiero, diciamo di volerci proiettare verso il 2030 ma siamo cronicamente fermi agli anni ’70: il lavoro indeterminato, la casa di proprietà, i figli, le automobili a rate, ecc. Oggi tutte le politiche seguono ancora quelle strade lì e non siamo in grado di capire che le necessità mutano.
Vogliamo parlare di giovani e montagna? Allora cominciamo col dire che la montagna deve pretendere una legge speciale, perché vivere nelle aree montane per noi giovani non è come vivere in città e non sono i fiori, le crode e i ruscelli a definire un posto bello in cui vivere. Sono gli antidoti alla solitudine, alla limitatezza delle occasioni di incontro, formazione e lavoro, sono i trasporti a fare la differenza. Il Cadore, che è una parte montana della grande Provincia di Belluno, la più grande del Veneto, conta 21 comuni, una superficie di 1.427,221 km2, con circa 30.000 abitanti. Eppure, nel 2023 sono nati in tutta la vallata solo 84 bambini. E allora pongo io una domanda: la montagna è ancora la vallata delle fiabe dove tutti vivono felici?
La montagna per tornare ad essere attrattiva deve darsi davvero da fare. Su tutti i fronti.
Partiamo dal lavoro: le aziende presenti sul territorio hanno una grande responsabilità che non è solo di tipo economico ma anche sociale, perché oggi devono farsi carico delle politiche di welfare, insieme alla politica, e disegnare il futuro di questi territori.
Pensiamo poi alla residenzialità: se da un lato la montagna viene abbandonata per la carenza di servizi, dall’altra ci sarebbe la volontà per alcuni di venirci ad abitare ma non è facile entrarci. Perché allora invece di incentivare le seconde case, che non fanno altro che depauperare un territorio già in enorme difficoltà abitativa, non si recuperano stabili abbandonati da destinare alla residenzialità, a prezzi umani, per le persone che decidono di venire a vivere e lavorare in montagna?
Parliamo di formazione: nei paesi di montagna c’è bisogno di personale. E spesso parte il mantra: “i giovani non hanno più voglia di fare sacrifici”. Ma di chi sono davvero le responsabilità di tutto questo? Della generazione dei nostri genitori, gli adulti, che negli anni del boom economico hanno guardato solo al fatturato e non a un vero e proprio investimento in termini di valore umano e comunitario. Non c’è stata la capacità di costruire un domani diversificando il contesto lavorativo, e oggi se non troviamo centri di formazione per i lavori della montagna, se le scuole non ci sono o se ne vanno la responsabilità è delle generazioni precedenti. Oggi i giovani vanno via perché hanno fame di avventura, di crescita e di esperienze che arricchiscano. E allora giovani, andate pure via, imparate, osservate, copiate se serve, ma poi per favore tornate. Mentre noi dobbiamo tornare a essere un territorio accogliente, dobbiamo essere disposti a rivedere i pilastri che per anni abbiamo difeso e che oggi non funzionano più e si sgretolano: il sacrificio, e poi si… vedrà. Oggi il mondo del lavoro e della formazione chiede cose diverse, e finiamola di dire che in montagna non si può fare, perché è una grande cavolata, in montagna si può fare benissimo, basta volerlo.
Per quanto riguarda poi la mobilità: l’Europa e il mondo ci dicono che la mobilità locale del presente e futuro è su rotaia o bicicletta. Le città più belle del mondo sono città che hanno allontanato le auto. Noi invece in Italia, e in montagna, stiamo chiaramente dando un messaggio contrario: comprate auto perché se non avete quattro macchine per famiglia e un motorino non vi potete muovere. Nelle frazioni di montagna non arriva più la corriera e il treno in valle è un lontano ricordo. Ma possiamo pensare che la mobilità non sia un limite? Lo è, quando per fare 30 km ci vogliono un’ora e mezza e raggiungere i centri diventa difficoltoso. Investimenti e progetti dovrebbero guardare alla mobilità pubblica, residenziale e una turistica, privilegiando il locale che deve poter vivere in montagna, deve poter lavorare a 40 km da casa senza rinunciare al sonno, deve poter andare a seguire, un corso di formazione a Treviso dal Cadore senza dover prendere alloggio in città. C’è bisogno di corse più frequenti, bus più piccoli che raggiungano con facilità le aree periferiche, magari con prenotazione ad ok tramite app. I treni vanno assolutamente ripristinati e potenziati. Va creata un’infrastruttura per la mobilità su bicicletta tra i paesi
E veniamo alla scuola: qui il discorso è complesso, bisogna ragionare unitamente sul territorio. Le nostre vallate nei prossimi anni vedranno calare ulteriormente i numeri dei ragazzi nelle scuole, e solo aumentando la qualità dei servizi riusciremo a resistere: una cittadella scolastica in una parte del territorio facilmente accessibile a tutti, che accolga istituti, mensa, convitto, spazi di studio e inclusione per il tempo libero, palestra sportiva e che faccia convergere su di sé un trasporto potenziato e mirato.
C’è bisogno, inoltre, di spazi di inclusione: oltre alle stanze digitali e ai rapporti gestiti sui social, i giovani hanno bisogno di luoghi dove incontrarsi fisicamente per sviluppare empatia, socializzazione, emozioni.
Sanità: è l’argomento locale e nazionale più discusso e controverso: riduciamo il servizio sanitario e ci chiediamo perché un territorio si spopola. I giovani hanno a cuore questo tema, e si domandano che sicurezza possono avere di venir curati adeguatamente nel momento del bisogno. Bisogna garantire qualità, assistenza e professionalità sanitaria, altrimenti in montagna non ci sarà futuro. E questo non riguarda solo i giovani ma tutti.
Per concludere direi che oggi i nostri territori devono attrezzarsi per richiamare i giovani dal mondo, invitandoli a venire a lavorare sulla progettazione locale: rendiamoli protagonisti attivi e portiamo sul territorio competenze tecniche.
Mattia Baldovin